Il nuovo itinerario di visita di Casa Leopardi, Ove Abitai Fanciullo, consentirà ai visitatori l’accesso ai saloni di rappresentanza del Palazzo; alla galleria dove sono esposte le collezioni d’arte; al giardino che ispirò gli immortali versi de Le ricordanze; al salottino dove i fratelli Leopardi si intrattenevano e alla camera privata di Giacomo Leopardi, dalla cui finestra, il Poeta osservava l’amata luna e le vaghe stelle dell’Orsa.
Lo scalone di ingresso settecentesco, da sempre conduce i membri della famiglia Leopardi al piano nobile; il primo luogo che si incontra è un salone azzurro, adibito ad ingresso, alle cui pareti si trovano alcuni dipinti raffiguranti membri della famiglia Leopardi e del patriziato recanatese: il cardinal Venieri, il conte Giacomo Leopardi (nonno del Poeta) e, più recenti, i conti Giacomo e sua madre Rosita, trisavoli degli attuali discendenti.
Oltre al collezionismo di libri ed oggetti d’arte, la grande passione del padre di Giacomo fu la storia locale e familiare; sulla parete di destra, l’albero genealogico da lui realizzato per ricostruire la storia della “Gens Leopardae”.
In fondo alla sala si staglia l’arazzo rosso con lo stemma dei conti Leopardi di San Leopardo, connotato dal leone rampante con corona comitale e croce di Malta. Il passaggio che porta al salone principale, denominato Saletta degli specchi, vede raccolte nelle teche, una piccola parte della collezione di monete e medaglie del Conte Monaldo.
L’ambiente successivo, utilizzato nei secoli come luogo di incontro e convivialità, è la Galleria; tutt’oggi è il principale luogo di rappresentanza in occasione degli eventi ufficiali.
In queste sale antiche,
Al chiaror delle nevi, intorno a queste
Ampie finestre sibilando il vento,
Rimbombaro i sollazzi e le festose
Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
Mistero delle cose a noi si mostra
Pien di dolcezza; indelibata, intera
Il garzoncel, come inesperto amante,
La sua vita ingannevole vagheggia,
E celeste beltà fingendo ammira.
Sulla destra, care alla storia della famiglia Leopardi, si trovano due grandi casse di legno, rivestite in cuoio, che contenevano il corredo nuziale della marchesa Antici, madre di Giacomo: sono decorate da punzoni metallici che compongono le iniziali dei novelli sposi, Monaldo e Adelaide.
Al centro della sala, un notevole altare seicentesco che contorna un grande dipinto attribuito al pittore Ernst van Schayck (Utrecht 1567(?) - Loreto 1631) che ritrae Barbara Moroni, moglie di Bernardino Leopardi, antenato del Poeta. Di lei Monaldo racconta che dall’abito nuziale si ricavarono ben 400 scudi d’oro:
“Barbara suddetta morì li 2 decembre 1608 e conserviamo in gran quadro il ritratto di lei stante in piedi. Ho per domestica tradizione, che dal suo abito nuziale abbruciato cavaronsi scudi 400 di oro, e di argento quanti ne occorsero a pagare la dote spirituale della figlia fattasi monaca cappuccina, lo che s'è vero, non comprendesi come la povera Barbara potesse vivere sotto il peso di tanto metallo”.
Quella loggia colà, volta agli estremi
Raggi del dì; queste dipinte mura,Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
Su romita campagna
In fondo al salone, si incontrano sul pavimento delle assi di legno che probabilmente furono sistemate per simulare il proscenio di un piccolo teatro. Pare infatti che, per spezzare la noia della quotidianità e allenare l’arte oratoria dei suoi figli, il conte Monaldo era solito organizzare piccole recite teatrali basate su delle commediole scritte per l’occasione da lui o da Giacomo stesso.
Pochi scalini conducono al giardino di ponente di Palazzo Leopardi, dove sono presenti numerosi elementi che ispirarono al Poeta alcune ricordanze.
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
E in su l'aiuole, susurrando al vento
I viali odorati, ed i cipressi
Là nella selva […]
Il conte Monaldo racconta, nelle sue memorie, che nel 1798 – anno di nascita del primogenito Giacomo – venne eretta la cinta muraria che delimita palazzo Leopardi. Al primo giardino venne connesso quello oggi visitabile, un tempo detto il “pomario”: da questo si aveva acceso all’orto delle monache di Santo Stefano e allo scenario de L’infinito. Da un passaggio ad archi che porta al giardino di levante, si avviarono all’epoca i lavori per il rifacimento degli appartamenti che sarebbero stati destinati a Giacomo, Carlo e Luigi. Ancora oggi è possibile vedere l’iscrizione lapidea in lingua latina che Monaldo fece apporre per certificare i lavori svolti.
NELL’ANNO 1798
UN FRUTTETO AD OCCIDENTE
NELL’ANNO 1816
DISPOSE
E NELLO STESSO ANNO CON UN PORTICO UNI’
MONALDO LEOPARDI
In origine la struttura degli appartamenti - detti “Le Brecce” per la peculiare composizione del pavimento alla veneziana - era a due piani; il 13 aprile del 1816, in un Sabato Santo, poco prima di mezzogiorno, inaspettatamente, le camere del piano superiore crollarono durante i lavori di ristrutturazione, ad eccezione di una parete divisoria. Monaldo scrive:
“Nell'anno 1798 si accomodò il giardino. Se ne fecero le mura, e si aprì la porta che mette alle nostre camere, nel mese di luglio. Nell'anno 1816 si fece il piccolo portico che unisce il Giardino col Pomario. Nel 1821 si cinsero di mura gli spazi e gli orticelli a Ponente... Nell'appartamento di quattro camere che ha le finestre sopra il Pomario, le due camere verso la strada avevano sopra un altro piano. Attorno al Pomario era un marciapiede a terrapieno che arrivava al primo suolo delle camere. Si voleva levarlo e si doveva procedere cautamente nel riprendere i fondamenti.
Il Capomaestro Orazio Traversi fece lo sterro senza le convenienti cautele. Eravamo nel 1816 a dì 13 aprile, sabbato Santo poco prima del mezzogiorno, inaspettatamente e tutto di un colpo, le due camere col piano superiore vennero a terra. Non restò pietra sopra pietra, levato un poco del muro divisorio. Nessuno restò offeso.”
Probabilmente il conte Monaldo non volle rischiare, e nel progetto definitivo fece risistemare la struttura riducendola ad un piano solo.
Passati gli archi del passaggio a levante, salendo una piccola scala a chiocciola, ci si trova di fronte questi appartamenti. Il primo luogo che si incontra è il salottino in cui i fratelli Leopardi si intrattenevano nel tempo libero dopo gli studi. Sulla destra, la camera di Carlo e, in fondo e più ampia, la stanza del fratello maggiore Giacomo, luogo fonte di ispirazione e di continue suggestioni. Il Poeta, dalla finestra della sua camera, contemplava le vaghe stelle dell’Orsa scintillare sul paterno giardino. Da Le ricordanze:
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
[…]
Viene il vento recando il suon dell'ora
Dalla torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
[…]
Da questa stanza, Giacomo poteva vedere e ascoltare la celebre Nerina. Tale figura poetica sembra essere stata ispirata da Maria Belardinelli, giovane recanatese che abitò sull’altro lato della strada. A tal proposito, il fratello Carlo Leopardi scrive racconta:
“Molto più romanzeschi che veri gli amori di Nerina e di Silvia. Si vedevano dalle nostre finestre quelle due ragazze, e talvolta parlavamo a segni. Amori, se tali potevano dirsi, lontani e prigionieri. Le dolorose condizioni di quelle due povere diavole, morte nel fiore degli anni, furono bensì incentivo alla fantasia di Giacomo a creare due de’ più bei tratti delle sue poesie. Una era la figlia del cocchiere, l’altra una tessitora”.
O Nerina! e di te forse non odo
Questi luoghi parlar? caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa Terra natal: quella finestra,
Ond'eri usata favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
E' deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi?
In merito agli ambienti, nella guida di Recanati compilata da Vincenzo Spezioli nel 1898, si trovano informazioni interessanti sulle origini pittoriche della camera del Poeta, oggi riportati alla luce dopo un attento restauro:
“Le quattro stanze dell’appartamento delle brecce furon decorate con buon gusto dal pittore recanatese Giuseppe Rughini, il quale era solito narrare che Giacomo e Carlo assistevano spesso al suo lavoro; e che, essendo giovane anche lui, il discorso cadeva per lo più sui loro amoretti e su le belle ragazze, di quel tempo. Fra le cose enumerate dal Poeta, come quelle che porser mille diletti agli ozi suoi, non potrebbero esser comprese anche queste decorazioni del suo appartamentino, ch’egli stesso a diciott’anni aveva veduto uscir dal pennello del giovane pittore?”
Giacomo lascia definitivamente Recanati nel 1830. Da quel momento in poi gli ambienti delle Brecce sono stati custoditi nel ricordo del Poeta ed esclusi dall’utilizzo domestico.
Dalla seconda metà dell’Ottocento l’obiettivo della famiglia Leopardi è stato quello di preservare i luoghi della memoria di Giacomo e renderli sempre più accessibili al pubblico: l’apertura della biblioteca, quella degli spazi espositivi del frantoio, il restauro delle cantine storiche, arrivando all’importante ristrutturazione della casa di Silvia. Oggi, con l’apertura ai visitatori delle stanze del Poeta, si corona il sogno dei moltissimi appassionati che potranno finalmente emozionarsi nel luogo dal quale Giacomo occhieggiava l’amata luna e vedeva scintillar le stelle.
Cristina Tilio
Commenti
Posta un commento